
Avvocati: di chi non fidarsi
Il presente sito, in quanto afferente ad uno studio legale, ha certamente l'obiettivo di promuoverne le attività con specifico riferimento al titolare del medesimo, rispetto al quale si converrebbe forse procedere ad una presentazione con carattere prioritario rispetto al resto.
Tuttavia, mi pare invece prioritario evidenziare l'idea cui ritengo debba ispirarsi il concreto esercizio della professione dell'avvocato (non solo per fornire un ausilio utile per comprendere di chi, nella foltissima schiera degli avvocati, è bene non fidarsi, ma anche perchè credo che la sostanza abbia un ruolo preminente, cioè gerarchimamente sovraordinato rispetto alla forma, e richieda perciò di essere rappresentata per prima). Non nascondo che tale esigenza nasce anche dalla quotidiana frequentazione di un ambiente lavorativo in cui non è raro incontrare colleghi il cui modo di porsi, anche rispetto a questioni che esulano dal diritto, è senza dubbio debitore ai metodi della sofistica e della retorica piuttosto che a quello della dialettica.
Sinteticamente potrà dirsi che tanto per i sofisti quanto per i retori, l'obiettivo consiste nel persuadere l'ascoltatore o interlocutore sulla correttezza della propria opinione intorno all'argomento di discussione: dagli uni tale obiettivo è raggiunto attraverso una sostanziale relativizzazione di ogni verità, resa possibile, tra l'altro, dal ricorso a terminologie dal significato plurivalente, inserite nel contesto di uno stesso tema di indagine; dagli altri, con un competente uso della parola, strumentalizzato per eludere, attraverso abili allungamenti e abbellimenti del discorso, il vero oggetto della discussione o i punti fermi intorno ad esso, con il fine di far prevalere la propria opinione. In ogni caso, per entrambi non ha alcuna importanza la verità: ciò che conta è la persuasione fine a se stessa.
Si comprende facilmente come tale modo di procedere sia non tanto inutile quanto dannoso rispetto all'obiettivo che dovrebbe guidare ogni sforzo di indagine: l'autentica ricerca del vero. L'importanza di tale obiettivo è tale che Socrate, nel corso di un dialogo con il retore Gorgia, con il quale cercava di definire appunto la retorica ed i suoi eventuali pregi, ad un certo punto apre una parentesi per ammonire il suo interlocutore con queste parole: "Credo, Gorgia, che anche tu sia pratico di molte discussioni e che, nel corso di queste, abbia notato ciò: non accade facilmente che si possa sciogliere la disputa dopo aver dato, l'uno all'altro, le proprie definizioni circa gli argomenti di cui ci si è messi a discutere, imparando ed insegnandosi cose vicendevolmente. Accade invece che, quando ci si trovi in disaccordo su qualche punto, e quando l'uno non riconosca che l'altro parli bene e con chiarezza, ci si infuria, e ciascuno pensa che l'altro parli per invidia nei propri confronti, facendo a gara per avere la meglio e rinunciando alla ricerca sull'argomento proposto dalla discussione. E certuni, addirittura, finiscono col separarsi nel modo più disonorevole, dopo essersi insultati e aver detto e udito cose tali che anche i presenti si pentono di aver creduto che sarebbe valsa la pena venire a sentire gente del genere. Ebbene, perchè dico queste cose? Perchè mi pare che tu, ora, dica cose non del tutto congruenti nè consone alle tue affermazioni iniziali sulla retorica. E allora ho paura, a confutarti, che tu possa sospettare che io parli misurandomi in una gara non contro la cosa discussa, per costringerla a venire allo scoperto, ma contro di te. E allora, se anche tu sei di quel genere di uomini a cui anche io appartengo, ti interrogherei volentieri, altrimenti lascerei perdere. Ma a che genere di uomini appartengo? A quel genere di uomini che provano piacere ad essere confutati, se mi accade di dire cosa non vera, e che provano piacere a confutare se qualcuno dica cosa non vera, e che, tuttavia, non sono meno contenti quando sono confutati di quando confutano. Ritengo, infatti, che questo sia un bene maggiore, nel senso che l'essere liberati dal male maggiore è un bene maggiore che il liberarne altri. Niente, infatti, credo, è per l'uomo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle qustioni di cui ora stiamo discutendo. Se, dunque, anche tu sostieni di essere un uomo di questo genere, discutiamo pure; se, invece, ti pare il caso di lasciar perdere, lasciamo perdere e chiudiamo il discorso". Dal passo appena riportato emerge chiaramente come per Socrate il male peggiore per gli uomini sia l'ignoranza, riferita non alla conoscenza meramente nozionistica ed erudita, ma al sapere intorno alla vera essenza delle cose. E' facile comprendere come il raggiungimento di un tale sapere sia impresa molto ardua, ed è per questo che chi voglia cimentarsi con essa deve innanzitutto acquisire le consapevolezza di non sapere, proprio come Socrate, che ammetteva la propria ignoranza (l'unica cosa che so è di non sapere) e che per questo fu considerato dagli oracoli l'uomo più sapiente di Atene: più dei politici, dei poeti e degli artisti, i quali, difettando anche della semplice consapevolezza di non sapere, erano totalmente digiuni di sapienza (poichè non sapevano neppure di non sapere).
Il metodo di indagine applicato dall'illustre filosofo per ricercare il vero era, com'è noto, quello della dialettica, vera e propria arte (del ragionare con l'ausilio di un interlocutore), a differenza della sofistica e della retorica, declassate dallo stesso Socrate ad attività meramente empiriche (cioè a miseri tecnicismi).
Richiamare brevemente l'attenzione su considerazioni come quelle che precedono mi è parso dunque importante in relazione a quanto dicevo all'inizio, cioè, in definitiva, al fine di suggerire l'utilizzo di un criterio, semplice ma assolutamente efficace, per discernere tra gli interlocutori affidabili e quelli che non lo sono. In effetti, il criterio in questione si rivela utile in relazione a qualsiasi tema di indagine, sia pure rientrante nell'ambito di uno specifico settore del sapere, adattandosi così anche ai professionisti del diritto. Beninteso, con le dovute cautele, tenendo cioè conto di quella volontà di persuadere, fisiologica nella professione dell'avvocato, che è legata alla necessità pratica di conseguire un risultato utile per il proprio assistito nella vertenza che lo vede coinvolto.
Fermo restando ciò, dunque, e per ritornare al nostro quesito iniziale (avvocati: di chi non fidarsi), direi che non appare meritevole di fiducia l'avvocato che, per quanto competente in ordine ad uno specifico settore del diritto, miri a dimostrare il possesso di cognizioni tali da poter fornire risposte immediate a qualsiasi questione giuridica prospettatagli, o, peggio, a promettere la conseguibilità di risultati positivi senza un previo, attento studio della questione sottopostagli. Ciò in quanto l'esperienza insegna che le fattispecie concrete sono sempre diverse le une dalle altre e non si presentano mai in modo semplice, evidenziando generalmente una molteplicità di aspetti ognuno dei quali deve essere attentamente vagliato. Segue quindi il lavoro di individuazione delle norme giuridiche sotto la cui regolamentazione far ricadere la fattispecie, con tutte le difficoltà che esso comporta, amplificate dalla continua proliferazione normativa cui si assite nelle complesse società odierne. Da non sottovalutare, infine, il momento intepretativo delle norme, che raramente mostrano univocità di significato, prestandosi solitamente a più interpretazioni, che rendono più che mai opportuno svolgere un attento lavoro di ricerca giurisprudenziale per individuare gli orientamenti emersi nella loro applicazione da parte dei giudici.
Solo il serio e metodico espletamento delle descritte attività, che impedisce comprensibilmente di offrire soluzioni o promesse immediate, è in grado di assicurare la scelta della migliore strategia difensiva nell'interesse del cliente, e dunque di offrirgli effettivamente quell'assistenza legale cui ha diritto allorchè decide di rivolgersi ad un avvocato.
Lo studio legale Avv. Massimiliano Greco si pone appunto quale obiettivo prioritario quello di stabilire un rapporto di reale fiducia con i propri assistiti, gestendone la posizione con serietà, meticolosità e dedizione in ogni fase, giudiziale e stragiudiziale, del rapporto di assistenza.